sabato 10 agosto 2013

Trilogia della guerra antifascista [Rossellini]

Questa immersione non mi ha lasciato fiato, stanca gli occhi e stanca il cuore; eppure sale ancora di più la voglia di vedere anche la Trilogia della guerra fascista. Anche se ho un po' paura.

Farmi bruciare non era mia intenzione, questo di Rossellini non è un cinema da rifugio. Bisogna avere lo stomaco ma pure una buona dose di comprensione per non lasciarsi aggredire dalla violenza che poi, lo sappiamo, diventa rabbia.

A chiunque abbia voglia di fare un viaggio tra le mine del passato e le paure del presente consiglio la visione di questi tre film che parlano proprio della nostra storia: Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero. L'ultimo sembrerebbe riguardarci un po' meno da vicino ma è come se Rossellini dopo averci mostrato la miseria italiana, umana ma non dello spirito umano, volesse dare un volto fraterno anche al nemico. Perché in fondo non siamo tutti uguali, così vale pure per i tedeschi.

Come se alla fine avesse voluto dire la famosa frase, quella che ci insegnano fin da piccoli nelle scuole, nella guerra non ci sono vincitori.

E allora la tragedia di un figlio che uccide il padre [Germania anno zero] non è altro che la redenzione del popolo tedesco agli occhi di chi giudica e odia, odia e giudica e non accende la compassione. La guerra non finisce nemmeno quando è finita: è facile crederci ma è inutile illudersi. E ci illudiamo che anche le guerre più recenti abbiano avuto una fine ma i popoli rimangono segnati, la terra assorbe la polvere da sparo, la carne è avvelenata. E chi gioca alla guerra forse non ha ancora sofferto abbastanza; eppure la vita è prodiga di sofferenza. Con tutti.

La Sora Pina, Anna Magnani, si accascia al suono del fucile [Roma città aperta]: da quel momento in poi il bianco e nero del film diventa sempre più nero. Si apre una breccia e quello che succede dopo è solo l'inevitabile. Però viene lo stesso un sorriso a pensare alla passione e al coraggio di coloro che hanno aiutato, si sono ribellati. Ma forse era solo disperazione. Io cosa avrei fatto? Non lo so, non lo puoi sapere.

Non è rimasta nemmeno la forza per urlare ma solo la speranza che raccontando almeno un po' di giustizia si possa fare. Così Rossellini racconta la storia di Teresa Gullace, una giovane donna uccisa dai tedeschi mentre cercava di avvicinarsi a suo marito fatto prigioniero, insanguinata icona della resistenza.


Forse Marina era cattiva? Forse Manfredi era ingenuo? Ci sono situazioni in cui puoi solo capire e non giudicare. Soffrire insieme a Marina quando, tornata per un attimo lucida dallo stordimento della droga (e della guerra), esclama: Mio dio cosa ho fatto!

Prendendo in prestito qualche parola di Guccini: "come in un libro scritto male, lei lo ha ucciso per natale, ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio". Lei nella stanza affianco mentre lui veniva torturato ed ucciso. Una storia d'amore scritta male, davvero male. Ma non è colpa dello sceneggiatore, non è la fantasia che non ha funzionato. Questo lo sappiamo tutti.

Contenta di aver conosciuto Maria Michi, questa attrice provocante, quasi esotica, con dei grandi occhi da sognatrice e che si incontra nuovamente anche in Paisà dove anche qui vivrà una storia d'amore scritta male.
Ma stavolta non ci saranno morti da piangere.

I partigiani galleggiavano mentre l'Italia si consumava lentamente tra fame e rappresaglie: popolo di eccellenza e degenerazione, di resistenza e sottomissione.

Ma quanto siamo stati forti? Ci siamo ficcati nei guai con tutte e due le scarpe e con tutte e due le scarpe, anche chi non ce le aveva, ci siamo tuffati nella resistenza.

Immagino i partigiani con le mani e le spalle grandi perché i loro abbracci, quando ce la facevano a tornare a casa, riuscissero a infiammare i cuori infreddoliti dalla barbarie.


Perché ci siamo allontanati dalla verità? Perché abbiamo perso la capacità di raccontare? Perché i film di oggi sembrano parodie delle nostre vite piuttosto che specchi delle nostre esistenze?

Ci sarebbero tante storie ancora da far vedere. Ci sono guerre silenziose che non siamo capaci di narrare e non ci accorgiamo nemmeno di vivere. La protesta di oggi non è azione e non è neppure documento. La protesta di oggi è come il capriccio di un bambino, dopo un po' passa e ce ne dimentichiamo tutti. Ma la resistenza la si fa anche con i film, con la letteratura, con la cultura. Dimenticarlo è il primo passo per perdere la coscienza di noi stessi come popolo e come uomini.

Una volta volevo scappare da questo mondo perché non lo capivo.
Oggi voglio stare su questo mondo per tentare di capire gli uomini.

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