mercoledì 19 novembre 2014

Da umani a cannibali attraverso i film. Indagine sui significati di antropofagia e di "umanità" nelle società capitalistiche avanzate

“Affermiamo il nostro attaccamento alla specie come se fosse un dato di fatto, un presupposto. Fino al punto di costruire attorno all’umano la nozione fondamentale di diritto. Ma stanno davvero così le cose?” Rosi Braidotti (1)
Il cannibalismo è uno dei più grandi tabù della civiltà occidentale. Nell’immaginario collettivo è relegato all’interno di società isolate, impropriamente definite come “primitive” e “selvagge”, ma in realtà non è un fenomeno estraneo al mondo occidentale. Ci sono diversi episodi di antropofagia accertati durante momenti di disperato bisogno come in occasione di guerre e carestie.

Un tema scomodo, o sarebbe meglio dire scandaloso, che però trova nell’arte una strada per emergere. Basti pensare che il cannibalismo viene raccontato persino in un celebre dipinto del 1818 di Théodore Géricault come La zattera della medusa.



Perché il cannibalismo è un tema così controverso, così indecente? La sua brutalità mette in discussione l’intero sistema sociale e civile delle società occidentali, prima illuminate e razionali, oggi capitalistiche e avanzate, la cui egemonia sul resto del mondo è legittimata dal loro “presunto” rispetto dei diritti dell’"uomo". Disgustoso da una parte, “contro natura” dall’altra: il cannibalismo viene considerato l’atto di violenza più efferato che un uomo può compiere verso un suo simile. Si tratta quindi di un fenomeno che possiede un forte potere simbolico in quanto stabilisce il confine tra ciò che deve essere considerato “umano” e ciò che invece si trova al di fuori della “dimensione umana”.