mercoledì 18 settembre 2013

Nessuno crede più nelle favole: Thompson come il nuovo Habermas


Ecco. Siamo a questo punto. Nessuno riesce proprio più a credere nelle favole: abbiamo consumato le morali ed anche i lieti fini. E per giunta nessun orco si è trasformato in un folletto benevolo.
Allora, non è che Thompson ci vuole raccontare una favola un po' più credibile di quelle che ci siamo raccontati fino ad ora? Non è che vuole trasformare la realtà in favola tanto per rendercela un po' più accettabile? Perché altrimenti quello che ci resta è questo...



Dove bombe e petrolio hanno sempre più odori, colori e malumori.
Tutta colpa del nostro dannato ottimismo della democrazia: tutti a credersi importanti e governanti! Forse non poteva andare diversamente perché è l'uomo che è fatto così. Quando cerco di spiegarmi cosa succede intorno a me non posso che ricorrere ad Eros e Thanatos, altrimenti di certe malattie non riuscirei proprio a comprenderne l'origine. Oppure poteva (e potrà) andare diversamente: basta il controllo, la regolamentazione, la sorveglianza... insomma tutte quelle forbici in cui ci troviamo incastrati quando invece di tagliarci a pezzetti avremmo bisogno di trovare qualcosa per ricucirci. Forse la soluzione è l'ago e il filo. Forse è così. Ma vediamo Thompson che dice, perché al di là della nuova favola del "principio del pluralismo regolato" (appunto l'ago e il filo) ha un merito importantissimo: l'aver costruito un dopo Habermas, decisamente più capace di comprendere la complessità del mondo moderno.
Una cosa però mi tormenta: non possiamo sfatare la democrazia così come non possiamo sfatare il capitalismo. Forse è più semplice liberarsi del secondo che della prima. Cosa ci aspetta allora? 

Hanno ammazzato la democrazia, la democrazia è viva!

Quella che viviamo oggi è sempre più una democrazia tra virgolette, non c'è nulla da fare. La democrazia deliberativa non si è riuscita mai ad attuare ed al suo posto vive da parassita quella rappresentativa che già dal nome mi puzza. 

Abbiamo creato un nuovo mostro, il telecittadino, il tele-elettore che paradossalmente, non è nemmeno telerappresentato come vorrebbe lui, quindi figuriamoci se la politica lo sta a sentire. La forbice era lì come un monito ma mentre pregavamo affinché non cominciasse a tagliare, abbiamo lasciato che il tessuto che teneva uniti cittadino e politica si squarciasse ugualmente sotto il peso inesorabile della sfiducia (e forse anche dell'ipocrisia, sia nostra che loro).


Thompson ci dipinge un bel quadretto di questa democrazia tra virgolette ed io lo schematizzo velocemente, ogni punto rappresenta una lacerazione tra quello che doveva essere e quello che in realtà è (il metro di riferimento è la sfera pubblica, altrimenti la lista sarebbe infinita):
  1. Per la maggior parte dei cittadini la partecipazione politica consiste in poco più che una scelta, esercitata ogni 4 o 5 anni (in Italia sempre più spesso), tra candidati tutti uguali ed ugualmente incapaci di realizzare un vero cambiamento. Da qui nasce il rifiuto della politica e l'avversione per la politica come professione: dunque rifuggiamo in isole extra-istituzionali (per esempio le culture civiche di Dahlgren).
  2. La democrazia, rappresentativa o non, si trova a convivere con una serie complessa di disuguaglianze generate dal mercato. E questa è la caratteristica principale del capitalismo: la disuguaglianza. Ma se la democrazia prospera nel capitalismo e se abbiamo stati indebitati che al solo pronunciare la parola Welfare rischiano la bancarotta, come si fa?
  3. La democrazia dei rappresentati e dei rappresentati, nella realtà pratica, impedisce il reale sviluppo di pratiche democratiche. I politici, essendo impegnati per la maggior parte del loro tempo a competere con i propri avversari per ottenere il consenso, perdono facilmente contatto con gli interessi comuni dei cittadini (riducendo la politica a mero spettacolo).
  4. Poi c'è la globalizzazione che limita di fatto il potere dei governi democraticamente eletti.
A questo punto Thompson non può che chiedersi se ci sia una soluzione, se esista un modo per superare l'abisso tra elettori e rappresentanti e dare forma ad una forma di governo più attiva e partecipata. Si si, una soluzione c'è, non c'è da temere: si tratta di una bella favola con una bella morale fresca fresca. Ma ce la risparmiamo per la fine, tanto per non disilluderci subito.

Non è che oggi sono pessimista, non lo sono mai. Continuo a credere in tante cose buone che l'uomo fa e può ancora fare. Ma quando si tratta di esaminare certe questioni c'è solo da ammettere che ci siamo proprio incagliati. Tuttavia se siamo riusciti a rimuovere la Costa Concordia in 20 mesi, forse potremo rimuovere alcuni di questi problemi nei prossimi 20 anni. Come dice una persona che mi sta tanto cara: "ci vuole pazienza". Ma la pazienza forse è anch'essa uno dei nostri mali.

Mezzi di comunicazione e modernità è il saggio di John Thompson dal quale provengono gli appunti che oggi scrivo qui. Tutto ha inizio con il capitalismo della stampa di Anderson - la produzione di libri e giornali secondo modalità industriali - che porta alla trasformazione culturale delle società moderne e a quella che oggi viviamo come mediatizzazione della cultura: il predominio dei media a discapito delle interazioni faccia a faccia, il ricevere a discapito dell'interagire, l'informazione contro l'argomentazione razionale e così via.

Le origini di questa trasformazione si fanno risalire al XVI secolo e al passaggio dal feudalesimo al capitalismo, passando per il nazionalismo e poi per la nazionalizzazione delle masse. Infatti il consolidarsi dello stato ha preceduto l'emergere di un sentimento d'identità nazionale; a quest'ultimo ha invece contribuito in larga parte lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione, primo fra tutti la stampa. Il cambiamento politico e sociale si allinea quindi ad un cambiamento del potere simbolico: lo sviluppo di un'industria mediale rende possibile la diffusione di idee e simboli in un linguaggio comune ed allo stesso tempo trasforma le forme simboliche in merci che stati nazionali e istituzioni religiose si contenderanno nei secoli successivi. Lo sviluppo della stampa rientra nel processo di crescita dell'economia capitalista così come rende possibile la formazione di comunità nazionali, le comunità immaginate di Anderson che creano comunità di lettori che condividono simboli e credenze pur senza interagire direttamente.

La stampa ha un ruolo importante anche nella formazione della sfera pubblica borghese di Habemas perché sono le riviste ed i giornali consultati nei salotti e nelle coffee houses che stimolano nelle élite quella discussione critica che sarà capace, sempre secondo Habermas, di influenzare l'autorità dello stato. Uno stato che di fronte a gruppi di privati cittadini che si riuniscono per discutere su temi politici e di interesse comune, non può più evitare di rispondere delle proprie azioni di fronte a questo pubblico. Funzione normativa della sfera pubblica.

Tuttavia Habermas aveva una visione un po' ristretta della realtà, a cominciare dal soggetto che prende come riferimento: la borghesia. E dove li mettiamo tutti quei movimenti popolari, sociali e politici che sono diversi dalla borghesia? Questa cecità gli impedisce anche di vedere che la stampa possiede una natura commerciale fin dalle proprie origini, non bisogna aspettare il declino della sfera pubblica borghese! Inoltre concepisce la sfera pubblica (borghese) unicamente in relazione alle interazioni faccia a faccia che vengono stimolate dalla stampa.

Thompson tenta di andare oltre questa visione riduttiva di Habermas che non è più in grado oggi di fornire un paradigma efficace di fronte alla complessità delle relazioni tra le diverse sfere pubbliche della società moderna. La comunicazione mediata elettronicamente, la trasformazione dei media in conglomerati commerciali e la globalizzazione della comunicazione aprono un nuovo scenario da problematizzare e che porta ad un cambiamento non solo della sfera pubblica, ma anche della visibilità.

Basta apparire.

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha creato forme di pubblicità molto diverse da quella tradizionale basata sulla compresenza (e per tradizionale ovviamente, non c'è scampo, ci riferiamo ad Habermas).
Non solo. La pubblicità mediata prodotta dalla stampa è già molto diversa da quella creata dalla televisione. Con la stampa un fatto può diventare pubblico anche per individui che non vi hanno assistito ma in questo senso la pubblicità non corrisponde ad una visibilità vera e propria, cosa che invece la TV restituisce grazie all'enormità degli indirizzi simbolici di tipo visivo che riesce a veicolare. Con la TV viene ripristinato il legame pubblicità - visibilità, tipico della compresenza ma ovviamente di certo non ci troviamo di fronte ad un ambiente dialogico:

  • non siamo liberi di scegliere l'angolo visuale;
  • non possiamo selezionare il materiale da vedere (se non in minima parte con lo zapping);
  • la vista è a senso unico: noi vediamo ma loro non ci vedono. E di conseguenza non interagiamo neppure.
In poche parole, c'è una relazione gerarchica tra chi produce e chi riceve il contenuto. E con gli occhi di Habermas tutto ciò uccide una sfera pubblica critica e razionale, sostituendo al dibattito attivo tra cittadini informati, l'appropriazione privata di una conversazione condotta da altri. Questo è visibile soprattutto se pensiamo ai talk show.
Ehm... non possiamo mica fermarci qui.

Nota bene Thompson che Habermas ha utilizzato un vecchio modello per spiegare una nuova realtà, e forse non è stata una buona idea. Ci vuole un nuovo modello. Il modello della compresenza non riesce più a soddisfare la comprensioni di come oggi le persone partecipano alle decisioni politiche che incidono sulla loro vita. Anche la compresenza diventa mediata: so che questa frase è una forzatura ma rende bene l'idea.

Innanzitutto questa nuova visibilità data dai mezzi di comunicazione moderni permettono ai molti di osservare i pochi (tutto il contrario del modello di sorveglianza di Focault, il Panoptismo, che sottoponeva i molti al controllo di pochi grazie al controllo dato dalla visibilità permanente). In questo senso ci siamo salvati, o meglio ci siamo "rifatti".

Questa nuova visibilità/pubblicità assoggetta anche chi esercita il potere e dà quindi origine ad una diversa comunicazione politica soggetta a molti rischi: gaffe, scandali, fughe di notizie, mal intepretazioni... Ci troviamo di fronte alla creazione di campi visivi globali, uno sviluppo storico importantissimo per comprendere la società contemporanea e che determina la fragilità di una sfera politica che in passato poteva selezionare in maniera molto più autonoma cosa rendere pubblico e cosa no.

La lotta per il riconoscimento dei propri interessi diventa una lotta per la visibilità:
La battaglia per farsi sentire o vedere (o per impedire ad altri di fare altrettanto) è un aspetto tutt'altro che marginale degli sconvolgimenti sociali e politici del mondo moderno. Thompson
I media, acquisendo il potere di politicizzare il quotidiano, hanno contribuito a una trasformazione del potere e della politica.

Reinventare la favola [la sfera pubblica come la intendeva l'amico Habermas].

Ieri la preoccupazione fondamentale dei liberali era la libertà di stampa come indipendenza dallo stato (laissez-faire). Oggi la preoccupazione fondamentale è liberare la stampa dalle logiche di mercato che non favoriscono, come pensavano i liberali, il pluralismo della comunicazione.

Da una parte abbiamo sottovalutato i pericoli nascosti nella dipendenza delle istituzioni mediali dalle logiche di profitto capitalistiche, dall'altra le nostre cornici nazionali non sono più adeguate al discorso sulla libertà di espressione. In un epoca di comunicazione mediata e globale, come stimolare la creazione di una sfera pubblica capace di portare la discussione nel campo dell'azione?

La favola: il principio del pluralismo regolato.

Già la presenza dell'aggettivo "regolato" accompagna un po' di scetticismo.
Questo pluralismo regolato dovrebbe essere una cornice istituzionale che faccia posto a una pluralità di società mediali indipendenti e ne assicuri l'esistenza. Il pluralismo regolato deve essere allo stesso tempo antimonopolistico (frazionando il potere dei media) e favorirne la pluralità e l'indipendenza anche dallo stato. Quindi in questo scenario dovrebbero manifestarsi una molteplicità di forme di media né asservite agli interessi privati né agli interessi statali.

Ricordiamoci anche della globalizzazione! Per Thompson è molto importante che questa non ingerenza nel sistema dei media non è sufficiente che avvenga a livello nazionale, bensì c'è bisogno che sia su scala mondiale.

La democrazia deliberativa, affianca a quella rappresentativa, è la soluzione offerta da Thompson ed il principio del pluralismo regolato sarebbe lo strumento per attuarla in quanto crea "uno spazio al di là dello stato, ma che lo stato regola al fine di coltivare la diversità e il pluralismo". Non si può pensare ad una reinvenzione della democrazia senza riconoscere il ruolo dei media come i principali strumenti con i quali gli individui si procurano le informazioni. Una democrazia mediata, quindi, in cui l'informazione è affidata alle istituzioni mediali.
Per questo la coltivazione della diversità e del pluralismo nei mezzi di comunicazione è una condizione essenziale per lo sviluppo della democrazia deliberativa. Thompson
La democrazia deliberativa di cui parla di Thompson non è un'alternativa a quella rappresentativa, quanto invece uno strumento per svilupparla ed arricchirla, istituzionalizzando dei meccanismi attraverso i quali incorporare le valutazioni dei singoli nei processi decisionali collettivi. Questa si che è una bella sfida!

A questo punto Thompson si trasforma in un profeta dei giorni nostri.
Sentiamo...

Deliberativa nel senso che rappresenta l'esito di un processo di deliberazione e quindi di confronti delle tesi e dei diversi punti di vista (pluralismo). Certo sarà un principio di maggioranza a fondare il processo decisionale ma se questa maggioranza è stata raggiunta tramite un processo di deliberazione che include il confronto, allora potrà a ben ragione essere considerata legittima.
Quanto più gli individui sono in gradi di partecipare alle deliberazioni riguardanti le questioni che incidono sulla loro esistenza, e quanto più i risultati di tali deliberazioni riescono a condizionare le procedure decisionali, tanto più grandi saranno i vincoli democratici che essi porranno alle organizzazioni sociali e politiche che plasmano la loro vita. Thompson
Ci vuole responsabilità.
Sappiamo tutti quanto fragile sia il senso di responsabilità per altri lontani, […] quanto facile sia allontanare lo sguardo. […] Sappiamo bene che la stessa gravità e frequenza delle calamità che si abbattono sul mondo di oggi minacciano talvolta di sopraffarci, di dare origine a una sorta di spossatezza morale che ottunde la nostra capacità di provare compassione. […] Sappiamo bene che le immagini, anche le più drammatiche, possono essere cinicamente manipolate […]. E’ vero: il senso di responsabilità sollecitato dai media è senza dubbio precario, ma insignificante certamente no. I mezzi di comunicazione hanno accresciuto la nostra consapevolezza dell'interconnessione e interdipendenza del mondo. Hanno risvegliato in noi un senso di responsabilità, non importa quanto fragile, nei confronti dell'umanità e del mondo abitato da tutti. […] E’ difficile dire se riusciremo a sviluppare il nostro senso di responsabilità in una forma di riflessione pratico-morale che si aiuti a condurre gli affari umani […]. Ma tentare di farlo è probabilmente la migliore – la sola – opzione a nostra disposizione”. Thompson


"Il nostro è un mondo in cui la capacità di agire a distanza e di avviare processi di grande portata sia nel tempo sia nello spazio ha superato la capacità di comprendere e giudicare: la catena causale delle azioni sorpassa costantemente la capacità di previsioni". Thompson

Amen.

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