lunedì 16 settembre 2013

Cosa fanno le persone quando discutono di politica sui media digitali? P. Dahlgren e E. Risi per una teoria della sfera pubblica online

Stavolta sono alle prese con Teoria della sfera pubblica: per Dahlgren più che di appunti si tratta di una traduzione, essendo il testo originale in inglese. Ho pensato che le riflessioni di Elisabetta Risi in qualche modo continuassero il discorso di Dahlgren, entrando nel merito della comunicazione sui social media: per questo motivo ci saranno riferimenti intrecciati anche al suo saggio La folla rumorosa. Quella che gli studiosi hanno cercato in tanti modi di concettualizzare come "sfera pubblica" si è rapidamente evoluta con l'introduzione dei media digitali: significa che ci troviamo di fronte ad una società più libera, almeno più consapevole, oppure che nonostante sia cambiata la natura degli spazi dove si svolge il dibattito politico e sociale, ci troviamo sempre di fronte ad una pseudo-democrazia che soffre di crisi della rappresentanza ed altri mali?

Non bisogna confondere lo spazio pubblico rappresentato dalla rete con la democrazia. Michele Sorice
Tutto parte da qui e da qui si possono sviluppare diverse domande ed orientamenti, favorevoli o contrari a questa tesi. Prenderò come filo conduttore di questa piccola analisi, il saggio di Peter Dahlgren The internet public spheres and political communication dispersion and deliberation e la sua teorizzazione di un modello delle culture civiche capace di problematizzare il ruolo di Internet nella moderna democrazia, quindi nella sfera pubblica e nel dibattito politico istituzionale ed istituzionalizzato (ma anche non).
L’accesso alla rete è un diritto democratico fondamentale ma l’idea che tale accesso costituisca automaticamente una forma di partecipazione e di civic engagement è ingenua. Michele Sorice
L'ottimismo che accompagna per natura i più giovani tende infatti a ritenere vero il contrario. Però è anche vero che se il solo aver accesso alla rete non garantisce automaticamente maggiore partecipazione alla democrazia, tuttavia oggi sperimentiamo sempre più forme di interdipendenza tra la comunicazione politica e quello che viene espresso (o non espresso) online dai cittadini. Questo non significa attribuire all'azione civica che si sviluppa online il potere sulle decisioni politiche, ma non riconoscerne l'importanza sarebbe un grave errore. Non ci serve andare in America per trovare un terreno fertile per un tale studio, anche in Italia abbiamo una vastità di esempi che rendono sempre più saldo il nesso tra comunicazione politica contemporanea e dinamiche di discussione politica online. Dal fenomeno del Movimento 5 Stelle al Popolo Viola, passando per altre piccole grandi realtà che hanno nell'online la loro base operativa e simbolica.

Non si tratta quindi di stabilire se Internet possa favorire o ledere le democrazie contemporanee già pesantemente indebolite su più fronti: la moltiplicazione dei pubblici, la crisi della rappresentanza, le ingerenze degli interessi commerciali ed i nuovi scenari globali (tanto per citarne alcuni). Si tratta di indagare come il cittadino agisce o non agisce in questo nuovo contesto, pervasivo e multidimensionale, democratico e antidemocratico al tempo stesso, che promuove l'uguaglianza a fronte di una disuguaglianza nel patrimonio culturale e sociale dei cittadini (nonché economico). Come fa notare E. Risi "l'uguaglianza in termini conversazionali tra le soggettività online è da considerarsi piuttosto come reciprocità".

Su questo terreno incontreremo molte contraddizioni come del resto di contraddizioni è piena la vita e, come ci ricorda Giorgio Grossi:
È su questo terreno infatti che i movimenti, le associazioni, i gruppi territoriali promuovono una nuova idea di politica, soprattutto intesa come pratica extra-istituzionale e deburocratizzata che trova nella Rete, nei suoi punti di forza interattivi e linguistici, una alternativa alla “politica del consumo” gestita tramite i vecchi media nel modello neo-populista della democrazia del pubblico. Non è quindi corretto far derivare la crisi della sfera pubblica dalla disgregazione della comunicazione politica – magari sulla spinta dei nuovi media individualizzanti. Ed ha quindi ragione Dahlgren quando stigmatizza certe letture pessimistiche o liquidatorie del ruolo della Rete nel rilancio della sfera pubblica, perché in essa troviamo piuttosto le tracce, ancora limitate ma ricche di potenzialità, di nuove forme di publicness, diverse da quelle tradizionali ma non per questo estranee allo spirito ed al ruolo della sfera pubblica stessa. Per usare con più precisione le parole di Dahlgren stesso: “Internet è alla testa dell’evoluzione della sfera pubblica, e se la dispersione delle sfere pubbliche in generale sta contribuendo al già destabilizzato sistema della comunicazione politica, specifiche contro-sfere pubbliche in Internet stanno anche aiutando i cittadini impegnati a giocare un ruolo nello sviluppo di una nuova politica democratica” Giorgio Grossi
Essendo arrivati già alla fine del saggio di Dahlgren e avendo già dato un assaggio di quello che è il modello delle culture civiche per lo studioso, non posso che constatare che l'ambivalenza e l'ambiguità che ha accompagnato la definizione di sfera pubblica fin dalla sua nascita (se strumento di controllo o di emancipazione) non fa altro che spostarsi da un contesto mediatizzato ad uno iper-mediatizzato, o meglio ancora cibernetico.
Fin dalle sue prime configurazioni storico-sociali dunque la sfera pubblica ha avuto, come si è accennato, un profilo doppio: da un lato, è stata l’ambito cognitivo-simbolico in cui si è perseguito il modello di “nazionalizzazione delle masse” tramite l’uso simbolico della politica attraverso il sistema dei media; dall’altro, è diventata terreno di scontro-confronto per l’affermazione di nuovi diritti, di nuove forme di partecipazione dal basso, di un ideale di “bene comune” come fondamento della convivenza sociale. Giorgio Grossi
Se l'ambivalenza, sia il rischio che l'opportunità, caratterizza il campo della sfera pubblica fin dall'inizio è in questa cornice che anche il rapporto con i media digitali va inquadrato, senza enfatizzare visioni ottimistiche né pessimistiche del discorso.
E’ dunque in questa prospettiva che si può collocare la riflessione sul ruolo specifico dei media (e in particolare dei media digitali), accettando l’idea che il ruolo del nuovo mediatico rispetto al vecchio non può prescindere dal discorso egemonico: non si tratta insomma di cogliere presunte diversità sostanziali tra i media digitali e quelli analogici, tra la one way communication e la verticalità del broadcasting da un lato e l’interattività e l’orizzontalità della rete dall’altro, ma piuttosto di inquadrare le diverse opportunità che media diversi offrono al cittadino sullo sfondo di altri condizionamenti, opportunità e stimoli che l’intera società mette a disposizione (o nega) nella complessità delle sue componenti. Fausto Colombo
Se queste sono le premesse, passo ora ad analizzare più nel dettaglio le considerazioni esposte da Dahlgren all'interno del saggio The internet public spheres and political communication dispersion and deliberation. 

Il modello delle culture civiche presentato da Dahlgren ci offre una chiave d'interpretazione per lo studio delle discussioni politiche online. Questo modello non si inserisce però in una "sfera pubblica" considerata al singolare, ma esige il riconoscimento realistico di una realtà formata da più sfere pubbliche che competono ed interagiscono fra loro.

Come punto di partenza Dahlgreen suggerisce una suddivisione della sfera pubblica in tre diverse dimensioni: quella della struttura, quella della rappresentazione e quella dell'interazione. Se gli aspetti strutturali rimangono per lo più gli stessi, quelli rappresentazionali (one to many) ed interazionali (one to one) in Internet si confondono sempre di più.

Delineato l'ambiente, la prima domanda a cui si cerca di rispondere è: da dove nasce la destabilizzazione della comunicazione politica?


La cattiva salute della democrazia neo-liberista ha causato la crisi della comunicazione politica; ma a questa crisi concorrono anche altri fattori che riguardano le recenti trasformazioni della società moderna: aumento delle differenze socio-culturali, erosione della distinzione tra giornalismo e non giornalismo, aumento dei mediatori politici, trasformazione della geografia della comunicazione politica che con la globalizzazione si estende oltre i confini nazionali, proliferazione tra i cittadini di atteggiamenti cinici e disinteressati nei confronti della politica. Inoltre ci troviamo di fronte ad un'industria dei media che seguendo esclusivamente le leggi del mercato (e quindi del profitto), non è più capace di dar voce a quel pluralismo fondamentale per la buona salute della democrazia.

Una pluralità di voci trova però spazio nella nuova sfera pubblica cibernetica che viene analizzata nelle sue tre dimensioni. Facciamo uno schemetto.

Struttura: come i media tradizionali, anche internet è influenzato da logiche commerciali, politiche e istituzionali.
Rappresentazione: internet viene utilizzato dagli utenti solamente in minima parte per discutere di contenuti politici; inoltre la maggior parte delle discussioni sono isolate e non sempre promuovono ideali civici.
Interazione: allo stesso tempo però internet offre uno spazio per diverse iniziative civiche.

Tutto ciò va poi misurato anche con il problema del digital divide... Ma questa è una lunga storia.
Se internet risulta ormai integrato nelle logiche della politica è anche vero che dall'altra parte viene utilizzato per sfidarla; ma questo ruolo sovversivo e progressivo non dev'essere sopravvalutato. Aumentando gli spazi del discorso non solo Internet favorisce una pluralità di voci ma tende anche a creare una balcanizzazione delle opinioni e quindi un isolamento dei discorsi. I fenomeni di dispersione e frammentazione possono essere in qualche modo ostacolati dalla presenza online di organizzazioni partitiche e dispositivi di e-government, tuttavia rimangono tendenze a trasformare soprattutto i gruppi sociali non istituzionali in ghetti cibernetici.

Da queste ed altre riflessioni possiamo dedurre che l'esistenza di una sfera pubblica non è di per sé garante di democrazia, ma se questa fosse una novità allora saremmo qui a riflettere di altro. Invece sarebbe troppo bello se ciò che viene discusso nello spazio sociale della "pubblicità" fosse capace di orientare i processi decisionali dei governi. Ma l'e-government non è sufficiente e l'e-governance è difficile da attuare; l'attivismo risulta frammentato e quindi spesso inefficace; le reti civiche rendono possibile la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali solo a livello locale. Qui risiede il problema principale: manca una connessione, un meccanismo istituzionale che faccia interagire il dibattito pubblico con il potere decisionale. Questa è la grande crisi della democrazia, quella che vediamo ogni giorno davanti ai nostri occhi e che favorisce un dilagante cinismo se non una totale sfiducia verso le istituzioni che si traduce in non partecipazione e rifiuto della politica.
Today the most notable gap between communication in the public sphere and institutional structures for binding decisions is found in the global arena. Transnational forums, global networking, and opinion mobilization are very much evident on the Net, yet the mechanisms for transforming opinion at the global level into decisions and policies are highly limited, to say the least. Dahlgren
Lo stesso atteggiamento viene sostenuto anche da E. Risi che riconosce, insieme a Tursi, la causa della mancata traduzione in azione politica delle discussioni online, alla loro lontananza dai centri decisionali.
affinché si possa ottenere quindi un’incidenza sull’azione politica occorrerebbe ridurre quella lontananza e far sì che i centri decisionali vengano rimessi a portata di mano del cittadino. E. Risi 

 Se il problema è questo non sarà sicuramente internet a risolverlo. Almeno non da solo. Ma quello che è interessante e che porta nuovamente il discorso di Dahlgren a quello che definisce il modello delle culture civiche è la teorizzazione di uno spazio, nella rete, prepolitico o parapolitico dove i temi sociali e culturali incontrano le individualità e danno origine a discorsi in cui la politica è presente in maniera implicita o esplicita.

Una volta riconosciuto questo territorio parapolitico, possono esserci due orientamenti:
  1. internet non è un fattore di trasformazione, non favorisce la partecipazione né è in grado di orientare le scelte politiche: gli stessi tentativi di e-government tradiscono la volontà delle istituzioni di influenzare dall'alto il discorso pubblico. Da questo punto di vista non ha nemmeno senso parlare di qualsiasi forma di e-democracy;
  2. internet non è solamente rilevante ma è centrale nella nuova politica in quanto permette all'interazione civica di assumere la forma di una comunicazione orizzontale. In questo senso l'apatia e l'allontanamento dei cittadini dalla politica istituzionale non significa necessariamente un allontanamento dalla politica in se per sé: i cittadini hanno trovato in internet uno spazio dove rivolgere la propria attenzione politica fuori dalle logiche istituzionali.
Negare un certo fondamento al secondo orientamento dimostrerebbe una certa cecità nei confronti di dinamiche che già si sono verificate e continuano a verificarsi intorno a noi e che hanno generato nuove forme di attivismo, di pressione politica e di comunicazione.

Quella che E. Risi chiama sfera pubblica ri-mediata e che nel suo studio, viene analizzata con particolare riferimento ai social media intesi come:
ambienti di socievolezza, assimilabili ai luoghi terzi, dove i pubblici connessi si inseriscono in dinamiche dialogiche online, creando conversazioni rese pubbliche sul web, che sebbene non possano essere considerate tout court come sfera pubblica, possono invece divenire generative della stessa. E. Risi
Dalla rilevazione della presenza di un territorio parapolitico (o dei luoghi terzi di Oldenburg) si deduce che limitare lo studio della sfera pubblica online al discorso sulla democrazia deliberativa significa non prendere in considerazione un vasto territorio, quello delle culture civiche, dove oggi si svolge la maggior parte della discussione politica della società moderna. Allora fossilizzarsi sull'idea di democrazia deliberativa del primo Habermas significa sopprimere la realtà delle relazioni di potere, significa non essere realisti.

Allo stesso tempo è pur vero che:
Se i social media hanno caratteristiche che li fanno in qualche modo assomigliare ad affollati e rumorosi caffè della sfera pubblica borghese habermasiana, tuttavia sembrano strutture solo occasionalmente deliberative in grado di assumere decisioni politiche e agire autonomamente al di fuori del contesto online. E. Risi
In questo senso allora la cultura civica sarà il costrutto analitico che permette di identificare le possibilità per le persone di agire nel ruolo di cittadini, a prescindere dall'esito finale delle loro discussioni (azioni).

Questa definizione che Dahlgren offre mi piace molto e credo che nella società contemporanea c'è un forte bisogno di cominciare a rivolgere le nostre riflessioni in un quadro simile, piuttosto che continuare ad arrovellarci su chi o cosa influenza chi. Credo anche che mai come oggi le persone, i cittadini, siano consapevoli della natura dei vari protagonisti del processo di formazione dell'opinione pubblica e proprio per questo motivo, per non cadere nelle trappole di questo processo tutt'altro che trasparente, siano sempre più scettici nei confronti della comunicazione politica così come del sistema mediatico. In questo spazio, in questo vuoto, si formano le culture civiche che abitano i territori parapolitici.
In the context of destabilized political communication systems, the discussions generated in these settings by these actors hold out the modest potential for making a contribution to the renewal, growth, and strengthening of civic cultures among many citizens who feel distanced from the arenas of formal party politics. Dahlgren
Le persone stanno sperimentando nuove forme di essere cittadini e fare politica e la discussione, in questa nuova forma, non deve necessariamente assumere la forma deliberativa di Habermas. Se per il cittadino non è possibile deliberare e quindi prendere parte attiva al processo decisionale della politica, gli è però possibile organizzarsi in una contro-sfera pubblica che ha la sua sede su internet e che gli permette di essere attivo nei discorsi e di interagire con gli altri cittadini. Se questo porterà ad un rinnovamento della democrazia non si sa, tuttavia questo fenomeno esiste e non può essere taciuto o ignorato.
The publically talkative, chatting society is more likely to remain democratic than the muted one. Dahlgren
Vedere la rete come uno spazio per nuove discussioni non significa eleggerla a strumento democratico per eccellenza; significa piuttosto considerarla come legata all'"agire comunicativo" di Habermas. L'ambiente web così ridefinito e problematizzato potrà costituire:
opportunità di emersione di sfera pubblica, intesa come insieme di pratiche discorsive pubblicamente accessibili in uno spazio, in cui si discute di questioni di interesse generale. E. Risi
Si passa da un luogo fisico (modernità) ad uno virtuale (tarda modernità); precisando però che "la sfera pubblica non è un luogo ma ha bisogno di luoghi in cui dispiegarsi.

Bisogna riconoscere ai media digitali nuove caratteristiche che li differenziano notevolmente da quelli tradizionali e quella mancanza di compresenza e prospettiva dialogica lamentata da Habermas in riferimento alla sfera pubblica mediata (Thompson), in questo scenario ha bisogno di essere nuovamente misurata.
Mentre nel modello televisivo sono presenti vincoli (strutturali o contingenti) che influenzano lo sguardo della telecamera e quindi l’esposizione mediale di questi contenuti, negli spazi online sono i soggetti (autori e fruitori) che operano una scelta nel rendere pubblici i frammenti della loro vita privata. E. Risi
Dalla teoria all'azione, come dice la Risi bisogna indagare non tanto "cosa i media fanno alle persone, quanto cosa le persone fanno con i media". Se il potere decisionale sembra non venire intaccato dalle arene del discorso digitale, quest'ultimo può comunque essere interpretato come una "vivificazione della sfera pubblica, momentaneamente insecchitasi nell'epoca della comunicazione di massa". E qui inevitabilmente un fugace pensiero va a Castells ed alla sua teorizzazione dell'"autocomunicazione di massa".


Ma Habermas rimane sempre e comunque il nostro punto di riferimento e la Risi instaura un paragone tra le coffe houses habermasiane e i social media. Entrambi possono essere inquadrati all'interno della teoria dei "luoghi terzi" di Oldenburg in quanto spazi relazionali per la modalità discorsiva della sfera pubblica, caratterizzati da semplicità e prossimità.

Interessante lo spunto sulla costruzione sociale della tecnologia (social shaping of technology) e quindi sull'influenza degli utenti nel determinare design e funzionalità dei social così come degli altri strumenti o luoghi del web. Per chi come me non utilizza i social solamente per questioni private ma anche per lavoro è abbastanza semplice e quotidiano rilevare i numerosi indizi di come questo avvenga concretamente nella realtà. Ma solo gli utenti influenzano il web? O anche i grandi network mediatici e pubblicitari (che spesso hanno lo stesso volto) giocano un ruolo importante in questa partita? Ma questo è un cane che si morde la coda: insomma il processo.

Ma perché il saggio di Risi ha questo titolo: la folla rumorosa?

Veniamo al cuore del saggio: la studiosa descrive il passaggio da folla silenziosa e folla rumorosa (Sennet), passaggio reso possibile dalle interazioni mediate del web che sembrano presentare un individuo che non ha più paura di subire giudizi ma che espone senza timore le proprie opinioni ed emozioni. In questo contesto la "folla" deve essere interpretata come "moltitudine dei pubblici connessi" altrimenti torniamo nelle insidie della comunicazione di massa e non diamo giusta considerazione a quello che Castells definisce "individualismo in rete" (networked individualism). La folla rumorosa è quindi un insieme di pubblici connessi che si esprime rumorosamente contrastando la spettacolarizzazione della politica e la pubblicità mediata (Thompson) nella sua accezione più passiva.

Ma quali sono i rischi ai quali andiamo incontro?
Non li voglio dimenticare, ma per quelli rimando al post su Sociologia multimediale ed in particolare alle argomentazioni della visione distopica del web dove c'è un piccolo foglietto di avvertenze.

Tuttavia la domanda rimane sempre la stessa ed intorno a questa domanda continueranno a svilupparsi i successivi discorsi (fortunatamente ci facciamo ancora domande): con i media digitali, la penetrazione del discorso politico all'interno del web, assistiamo alla creazione di una sfera pubblica oppure si tratta solo di rumore di sottofondo?

Dipende, vedremo fino a che punto. Non c'è una risposta unica.
Ma "gli studiosi non possono esimersi dal porsi domande su come pratiche socio-comunicative sviluppate in questo ambiente possano essere generative di opinione pubblica".

Da non confondere con una percezione erronea dell'opinione pubblica come sineddoche (Grossi), come:
l’interpretazione semplicistica, spesso attuata dai giornalisti italiani, che considera e utilizza i contenuti condivisi su Facebook come convenientemente rappresentativi dell’opinione pubblica. E. Risi
Veniamo ai fatti, prendiamo gli esempi ed i riferimenti a qualcosa che conosciamo bene, altrimenti le parole rimangono tali e non si cristallizza in noi nessuna idea critica, laterale, fuggitiva o sfuggente.



Sfera pubblica e Twitter: citazioni
Ecco Twitter è proprio questo, è il passaggio nella sfera pubblica di pensieri marginali che in un’altra epoca sarebbero rimasti nascosti, è la realizzazione di questa esigenza fino ad oggi celata. Ezekiel - Stilografico 
Abbiamo a che fare con la messa in visibilità di una sfera pubblica effimera (così pensa Habermas le conversazioni sparse in semi nicchie come i caffé, volatili e non sedimentate) che non viene rappresentata dai media né si sente rappresentata da questi. [...] Una nuova generazione di politici che hanno come riferimento un ambiente informativo più complesso fatto non solo di stampa e televisione, un ambiente che non solo e non tanto contempla il web ma le relazioni sociali e le cerchie che lì dentro ci identificano. [...] Questo non significa semplicisticamente che ci si faccia influenzare da quello che dice o vuole “la gggente” ma che siamo all’interno di meccanismi meno anonimi e generalizzati, meno distaccati, anche emotivamente. Giovanni Boccia Artieri
La rete diventa una nuova metafora di democrazia: da un lato si allargano le possibilità di realizzare una democrazia del popolo, con l’opportunità di realizzare procedure di decisione popolare; dall’altro si costata la presenza di una serie concreta di rischi e limiti, come la difficoltà di riorganizzare le comunità umane o come la resistenza culturale e politica a legittimare la rete come strumento di nuova partecipazione politica (De Rosa, 2002). Tecnoteca.it
E per questa citazione sottolineerei che "metafora" non sta per "forma".

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