mercoledì 4 dicembre 2013

La comunicazione politica nella seconda Repubblica [ da Grandi, Vaccari]


1992-1994.
Tangentopoli: gli eroi vinti e i criminali vincitori.
Seconda Repubblica: una via d'uscita per i criminali.
Tangentopoli: le persone non si fidano più della politica.
Seconda Repubblica: si "scende in campo" per una nuova politica.



Insomma, il mondo sta bene come sta.
"Abbiamo avuto i morti, abbiamo cacciato alcuni ladri, abbiamo dato fuoco al palazzo, ma forse abbiamo chiesto ai giudici quello che non potevamo avere: renderci italiani migliori". Federico Ferrero, Alla fine della fiera.
La rivoluzione fallita di Tangentopoli introduce qualsiasi discorso sulla Seconda Repubblica, ed è per questo che introduce anche questo mio breve riassunto del capitolo La comunicazione politica nella seconda Repubblica del testo Elementi di comunicazione politica.

Io appartengo alla generazione nata con la Seconda Repubblica. A scuola, alle elementari, totalmente indottrinati dalla TV, la ricreazione la passavamo a cantare "E forza Italia". Una cosa normale. Una cosa che ci segna e ci contraddistingue come la generazione del nuovo, un nuovo pieno di muffa. Io non ho vissuto un prima ed un dopo Berlusconi, io ho vissuto i 20 anni di Berlusconi e così sono cresciuta, rifiutando tutto quello che mi stava intorno. Rifuggendo nelle note di Guccini e De André; cercando la mia identità altrove, in un'altra epoca che almeno con la fantasia potevo dipingere migliore.

E non ti preoccupavi di Tangentopoli, la tragica fine dei giudici uccisi dalla mafia era ben più toccante. Da come sentivamo parlarne dai racconti, Tangentopoli sembrava una piccola truffa rispetto al mostro che si era impadronito sia della politica che delle nostre menti. E che con culi e tette somministrati alle ore giuste, riusciva a farci tutti felici. "Non è la Rai", era decisamente qualcosa di diverso, almeno allora.

E chi lo capiva il significato di "Seconda Repubblica"? Io la prima non l'ho mai vissuta: le ideologie le avevamo abbandonate da tempo, sostituite con cornetti Algida e confetture di ottima qualità. Mia madre ha militato nel partito; io tutt'al più ho vissuto nella Bologna militarizzata di qualche anno fa. Gli unici gruppi che ti regalavano un'appartenenza, quand'ero piccola io, erano l'Azione Cattolica (con relativo coro) e gli Scout. Insomma, quello che oggi potrebbero essere i Onedirectioners e i Beliebers. La politica era roba da libri di storia, roba noiosa situata in un altro pianeta.

Quello che voglio dire è che per la mia generazione gli anni del terrorismo e del conflitto ideologico sono una brutta fotografia, ma la propaganda travestita da show televisivo è un'opprimente realtà, assorbita fino all'osso. Le campagne politiche premoderne sono archeologia, io sono nata nella modernità politica. E perciò la lettura di questo libro è stimolante perché mi fa assaporare un passato che non è mio (Tangentopoli e la Prima Repubblica) ma che con l'analisi delle campagne elettorali che vanno dal 1992 fino a tempi più recenti (Seconda Repubblica), mi aiuta a problematizzare qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle quando ancora non avevo sviluppato gli anticorpi.

Per me la politica potrebbe essere sintetizzata con Porta a Porta e Ballarò. Santoro e Ferrara. Travaglio. Qualcosa che dal tubo catodico si piazza direttamente sulla tavola a ora di cena. Se mi chiedi cos'è un partito, ti risponderei che è un gruppo di persone che vanno dietro a un leader, oppure un gruppo di persone che non riescono a mettersi d'accordo su un programma. E da Tangentopoli in poi, l'unica verità è che lo scandalo è quotidiano, è normalizzato, è la prassi.

Se tutto ciò non si può cambiare, si può almeno analizzare. Ed è bello, molto bello per me, dare un senso agli enormi manifesti elettorali che hanno soffocato la mia infanzia e la mia adolescenza, tra sorrisini stereotipati e promesse, faccioni che in 20 anni non fanno nemmeno una grinza. Sembra che al mito della giustizia si sia sostituito quello dell'eternità. E tutte le volte che sembra che stia per finire, che siamo pronti per voltare pagina, arriva la ricaduta. Una potente eroina che agisce a livello collettivo e mentre ce la prendiamo con la televisione, dimentichiamo di fare i conti con la nostra assuefazione.

Le elezioni politiche del 1994 inaugurano una nuova Repubblica già in crisi. La profonda delegittimazione della politica e dei partiti rende i media e la televisione i protagonisti principali della nostra coscienza civile e politica. Mentre gli istituti di socializzazione tradizionali perdono la loro influenza, prende piede il potere politico dei media che producono opinion markers più credibili dei politici (Ferrara, Sgarbi, Santoro, Costanzo...) e svolgono le funzioni di Agenda Setting e mediazione simbolica.

Berlusconi è il "nuovo politico" ed ha il vantaggio di ricevere la propria legittimazione direttamente dai media, dalle sue televisioni commerciali di successo.
Il 26 Gennaio 1994 invia una videoregistrazione alle emittenti TV annunciando la sua discesa in campo, un gesto nobile nei confronti degli italiani derubati dalla Prima Repubblica. Per non farci vivere "in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare".


Non è questa la sede per approfondire le questioni giudiziarie ma vale la pena accennare che dopo qualche mese dalla vittoria delle elezioni del 1994, anche Berlusconi fu imbrigliato in Tangentopoli. Ma un marketing elettorale da manuale riuscì a sopire la sete di verità degli italiani e con il decreto Biondi si salvò chi si doveva salvare e si insabbiò quello che si doveva insabbiare. Il nuovo sfoggiava i suoi tentacoli macchiati di sabbia.

La "discesa in campo" era una guerra lampo: bastarono solo 2 mesi ad ottenere il consenso elettorale.

Vediamo le caratteristiche del discorso politico di Berlusconi e i punti di forza della sua strategia.

Un uomo non politico che parla un linguaggio antipolitico.

"L'Italia è il paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti...". Con queste parole Berlusconi si presenta come un non politico che, avendo a cuore i destini dei suoi figli, dell'impresa e del paese, è costretto a "scendere i campo e occuparsi della cosa pubblica."

L'affermazione della propria superiorità


Può scendere solo chi sta già in alto, in senso metaforico "questa discesa ha qualcosa della degnazione e della superiorità di chi ha già vinto prima di combattere."

L'autoinvestitura


Le promesse e gli impegni sono presi in prima persona e non a nome di una forza politica. Anzi è la forza politica a dipendere dal partito e non viceversa. L'affidabilità in nome della quale si chiede il voto non è costituita da un programma ma dalla storia personale di Berlusconi, industriale e presidente di successo.


La strategia di Forza Italia


Con i Club Forza Italia si offre una risposta al desiderio di partecipazione creando "un legame non così stretto e vincolante come quello della Prima Repubblica, ma più adatto al pubblico della neotelevisione".
Cito dal sito web:

Se vuoi essere protagonista di una azione positiva per l'Italia e per la tua comunità, apri un Club Forza Italia. Se vuoi fare la tua parte per assicurare un futuro libero a te e alle persone che ti stanno a cuore è il momento di impegnarti direttamente assieme ad altre donne e uomini che desiderano restare liberi e vogliono che lo Stato sia al servizio dei cittadini.
Il Club Forza Italia non è una sezione di partito, ma ha le sue origini e le sue radici nella società civile, tra la gente comune, libero da condizionamenti e burocrazie. 

Un altro carattere distintivo della strategia è l'utilizzo propagandistico dei sondaggi, anche grazie al controllo delle televisioni commerciali. Nei confronti dell'opposizione viene schierata una costruzione discorsiva del nemico che va di pari passo con il rafforzamento dell'immagine di Berlusconi.

L'obiettivo principale è quello di trasferire alla politica, la credibilità di Berlusconi in campo imprenditoriale, spettacolare e persino sportivo.

Il target di telespettatori-elettori


Il possesso della televisione ha permesso a Berlusconi di: "socializzare alla politica un target televisivo a cui è stato teso un sapiente e sostenibile agguato di telepolitica". Nasce lo spot elettorale e insieme a lui il tele-elettore: "la comunicazione di Berlusconi è riuscita ad integrarsi con i nuovi formati e a parlare a questo pubblico che, d'altra parte, si è formato soprattutto attraverso la fruizione delle emittenti dello stesso Berlusconi". Insomma una TV (ed un mondo) a sua immagine e somiglianza.

Elezioni del 1994


Riassumiamo in 3 punti gli ambiziosi obiettivi di marketing elettorale del Berlusconi del 1994:
  • trasferimento all'ambito della politica della credibilità di Berlusconi in campo imprenditoriale e spettacolare-sportivo (e dio sa quanto abbia funzionato questa strategia!);
  • rappresentare valori ormai privi di rappresentanza colmando il vuoto lasciato dal disfacimento della prima repubblica (e dal disfacimento della dignità politica italiana);
  • legittimare una tipologia di leader nuovo, diverso, attraverso un linguaggio antipolitico improntato sull'emotività.
Nella prima fase della sua "carriera" l'utilizzo dei media da parte di Berlusconi è stato calcolato, oculato. Si è costruito la scena in casa propria, evitando di partecipare a programmi in cui avrebbe potuto tradirsi e non reggere il confronto in maniera civile. Ma successivamente non sarà sempre così e assisteremo a scene singolari, nelle classifiche dei video più visti di YouTube anche per settimane.

Sintesi elezioni 1994: Berlusconi batte Occhetto perché Berlusconi combatteva sul terreno dello spot, mentre Occhetto ancora credeva di star facendo della politica.

Elezioni del 1996


Finalmente a sinistra c'è una svolta, le elezioni sembrano (sembrano) anticipare un cambiamento: il candidato Prodi avvia una lunga precampagna anche fisica, attraversando l'Italia in pullman per farsi conoscere da un pubblico ampio e rafforzare la sua "electability". Prima di allora Prodi era stato abbastanza dietro le quinte e quindi aveva un disperato bisogno di farsi conoscere e guadagnare credito tra gli italiani in poco tempo.

Nasce anche l'Ulivo che sembra il primo partito italiano ad utilizzare una pluralità di media in maniera sinergica, cercando in questo modo di contrastare lo strapotere televisivo degli avversari.
La strategia politica dell'Ulivo non si limita ai media tradizionali, stampa o televisivi, ma si orienta verso quelle tipologie di relazione, come il comizio e il porta a porta, che contemplano un rapporto diretto con gli elettori. Una grande novità per un'Italia sempre più lontana (e allontanata) dalla politica. L'utilizzo da parte dell'Ulivo di tecniche di comunicazione "povera" su base territoriale rappresenta un "primo tentativo di piegare la mediatizzazione della politica alle logiche delle campagne postmoderne".

In queste elezioni Prodi può essere considerato un antimodello che non copia il modello televisivo (e telegenico) di Berlusconi ma si propone come una persona del tutto diversa, una persona normale.

Per Berlusconi invece il 1996 è un periodo confuso: gli accesi dibattiti televisivi ne contraddicono la sicurezza iniziale e si cominciano a scorgere i limiti del grande comunicatore:
"un non completo controllo delle proprie interazioni con gli avversari, mostrandosi spesso in imbarazzo o incapace di gestire il dialogo e il confronto secondo le regole del galateo televisivo. Il non accettare gli obblighi derivati dai turni di parola attraverso le continue interruzioni degli avversari; il rispondere solo parzialmente alle domande".
Per la campagna elettorale il polo adotta la tattica del timing; ogni 2-3 giorni viene privilegiato un segmento diverso a cui indirizzare promesse.

Le regionali del 2000


Elezioni interessanti perché, seppur locali, vengono totalmente strumentalizzate per pilotare le successive elezioni politiche nazionali. Berlusconi trasforma la competizione regionale in una "scelta di campo" orientando completamente il framing della campagna che non rappresenta più l'interesse locale ma quello nazionale. Questo si ottiene tramite spot, lettere agli elettori e manifesti che spesso offuscano quelli dei candidati locali, obbligati a realizzare i cartelloni secondo un formato predefinito che mostra in primo piano la figura di Berlusconi. La nazionalizzazione della contesa permette a Berlusconi di depotenziare i vantaggi degli avversari, ovvero personalità dei candidati e maggiore radicamento territoriale.

Al vecchio pulmann di Prodi viene contrapposta una scintillante nave della libertà: Azzurra.

Elezioni del 2001


Colpi di scena. Amato, candidato in carica, viene rimpiazzato da Rutelli la cui campagna elettorale si svolge quasi interamente sui media, abbandonando quindi l'attenzione alla dimensione territoriale della contesa politica. La sostituzione di Amato, che aveva lavorato bene e che poteva (forse) rivendicare i meriti di 5 anni di governo, con un candidato telegenico come Rutelli, è una dichiarazione di arresa da parte della sinistra che implicitamente accetta la logica mediale e l'immagine (apparenza) come il terreno della competizione politica. La sconfitta di Rutelli è per questo motivo doppia.

Nel frattempo Forza Italia ricopriva l'Italia di manifesti 6 metri x 3 farciti di slogan ad alto potenziale di memorizzazione:

  • Un impegno preciso - città più sicure;
  • Un impegno concreto - meno tasse per tutti;
  • Un dovere morale - pensioni più dignitose... e così via. 
E poi:

  • Un presidente imprenditore per realizzare le grandi opere;
  • Un presidente innovatore per ammodernare lo Stato;
  • Un presidente amico per aiutare chi è rimasto indietro... e così via.

E poi ancora c'è il ciclo "Votiamo Berlusconi perché"...
Ci mancava solo l'invio dell'opuscolo "Una storia italiana", esemplare episodio di storytelling politico. Il tutto suggellato dal Contratto con gli italiani (che attenzione, questa storia del contratto non è una roba nuova ma viene dall'America).

La sinistra non aveva un vero e proprio programma perché aveva puntato tutto sull'"insostenibile" fascino di Rutelli e così lo scontro politico si trasformò in un referendum pro o contro Berlusconi, conducendoci al secondo governo Berlusconi. Erano gli anni di Ciao Darwin e delle prime edizioni di Grande Fratello (2000).

E qui fortunatamente (è dura togliere la polvere) finisce il mio racconto che non vuole essere esaustivo, non vuole essere un resoconto storico ma vuole solamente mettere in luce alcune caratteristiche delle strategie politiche di destra e sinistra all'inizio della seconda Repubblica. Si manca un pezzo... ma il resto lo sappiamo e diciamo che avevo un'età sufficiente per ricordi più consapevoli.

Io sono esausta e per l'esame ho ancora molto da studiare: lascio in pace i politici italiani per un po' e mi dedico a cose come il Libro Bianco ed il Libro Verde. Prima però concludo con questa video vignetta molto carina che offre una visione d'insieme di queste altalene, di questi discorsi vuoti, di queste assenze dalla politica italiana della politica italiana, che hanno portato l'Italia ad essere quella che oggi è. Una tirannia della maggioranza, solo apparentemente democratica. Di una maggioranza che di giorno dorme e la notte invidia, bramando denaro e potere, distruggendo se stessa.


Morale della favola

  • Nelle campagne moderne la posta in gioco non dipende tanto dai programmi ma dalle strategie degli attori politici e dalle rappresentazioni che ne danno i media.
  • Se due contendenti seguono la stessa strategia, difficilmente tutti e due avranno ragione (non scopiazzatevi, distinguetevi!).
  • Abbiamo dormito troppo (ma più si dorme e più si impara a dormire).

Postilla/e (3/1/2014)

Parliamo di comunicazione politica, di quella degli ultimi 20 anni che sicuramente sta influenzando quella attuale. Anzi, diciamo la verità, non riusciamo proprio a sbarazzarci del vecchio modo di fare politica ed i leader sono fatti con lo stampino. Volevo aggiungere alcune riflessioni della pubblicitaria Annamaria Testa sul modo di fare comunicazione politica oggi, in particolare la Testa si chiede come mai si finisca con il ragionare sempre in termini di propaganda e a porsi il problema del comunicare solo in occasione delle scadenze elettorali. Ecco come se lo spiega l'autrice di "La parola immaginata" (p.143), senza troppi tecnicismi, senza utilizzare il linguaggio difficile della sociologia:

Nonostante il protagonismo dei leder, il committente-partito ha oggi un'identità sfuocata e contraddittoria. Le sue affermazioni su se stesso e le proprie intenzioni sono spesso in contrasto con le scelte e le azioni precedenti e con quelle successive. Inoltre, mentre qualsiasi gazzosa o crema contro i brufoli deve rendere conto delle promesse che fa ai consumatori, e può incorrere in pesanti sanzioni se quel che afferma non corrisponde al vero, in politica, agli elettori, sembra che si possa dire di tutto, dimenticandosene poi appena si sono vinte le elezioni, e con la certezza che nessuno protesterà o sarà in grado di pretendere che gli venga rimborsato il voto speso.
- Il prodotto (cioè: il progetto politico) appare generico, e quindi intercambiabile. O poco concreto. O poco comprensibile. [...]
- In seguito allo sfuocarsi delle ideologie cresce anche una propensione a cambiare orientamento di voto e una tendenza all'astensionismo impensabile fino alla fine degli anno ottanta. Ma ho il sospetto che queste caratteristiche (che nel mio mondo sono considerate tipiche di consumatori-clienti maturi in un mercato maturo) vengano - non so quanto consapevolmente - percepite invece dal mondo politico come segno di disinteresse, immaturità e qualunquismo degli elettori. E allora, invece che far di tutto per comunicare meglio con loro, superando la vecchia propaganda, si rinuncia a comunicare, o si continua a farlo in modo rassegnato, poco convinto e tattico: la politica sembra disprezzare la comunicazione pubblicitaria intesa come opportunità per intrattenere un dialogo costante con gli elettori, e la considera piuttosto come un pedaggio da pagare. [...]
I risultati deludenti vengono fatti derivare da un'inadeguatezza intrinseca degli strumenti di comunicazione invece che da un uso improprio e superficiale dei medesimi. [...]
Per tutti questi motivi la pubblicità politica rischia di non risultare credibile in sè. In una situazione di questo tipo, anche il trattamento pubblicitario migliore può ridursi al livello di una operazione di make-up condotta su un viso devastato. [...] Contraddicendo la più sacra delle regole della pubblicità, la comunicazione sceglie di essere infedele al prodotto per tentare di essere efficace.

A proposito, invece, dell'influenza della televisione nella sfera politica odierna, cito Giovanni Sartori e il suo saggio "Homo videns". Lo studioso parla di una opinione pubblica "telediretta" che produce una comunicazione dall'alto al basso in cui "il vedere soppianta il discorrere". La credibilità, l'autorità è nella visione stessa: l'occhio crede in quel che vede. In questo modo riescono a passare come buone anche delle menzogne portando alla creazione di una opinione pubblica che ha delegato alla televisione qualsiasi esercizio critico.

Quindi cosa dobbiamo intendere per opinione pubblica oggi?
La televisione si esibisce come portavoce di una pubblica opinione che è in realtà l'eco di ritorno della propria voce.
Sartori non accetta giustificazioni che fanno della televisione uno specchio della realtà: "la televisione riflette cambiamento che in larga misura ispira e promuove". Insomma "le notizie televisive influenzano in modo decisivo le priorità attribuite dalle persone ai problemi nazionali e le considerazioni in base alle quali valutano i dirigenti politici" (Iyengar, Kinder 1987).

Riagganciandoci ai temi affrontati nell'articolo a proposito delle campagne elettorali portate avanti durante la seconda Repubblica, anche Sartori individua come effetto della televisione, una personalizzazione della politica: "sul video vediamo persone, non programmi di partito; e persone costrette a parlare con il contagocce. Insomma, la televisione ci propone persone (che eventualmente discorrono) in luogo di discorsi (senza persone)." La televisione diventa uno strumento in mano ai candidati piuttosto che un medium di e per partiti e idee.

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