giovedì 20 febbraio 2014

Boltanski: come la pietà si insinua nella politica e la sofferenza diviene spettacolo

Aspettando di trovare il tempo per leggere per intero Lo Spettacolo del dolore, attualmente sul comodino, mi accingo a lasciare qui un riassunto del saggio The Legitimacy of Humanitarian Actions and their Media Representation: the Case of France (tutte le citazioni senza fonte, provengono da questo saggio) corredato dagli appunti presi durante le lezioni della prof. Pina Lalli del corso Comunicazione e marketing sociale.


Il saggio prende avvio introducendo le critiche che l'azione umanitaria riceve a partire dagli anni '80 e che ne indeboliscono, piano piano, la legittimità. Una critica è quella che si interroga sui legami delle associazioni umanitarie con la politica: quanto i governi possono manipolare l'azione umanitaria?

Quanto gli stati occidentali, soprattutto Europei e Americani, utilizzano la morale umanitaria per nascondere la loro inattività sul piano politico e militare?
In questa ottica l'azione umanitaria diventa un alibi che giustifica l'assenza di un'azione politica: Boltanski qui fa l'esempio della Bosnia.
In this context, the humanitarian action itself has easily been interpreted as distraction designed to hide inaction, as was the case with the war in Bosnia.
Quanto, invece, sotto le spoglie di un'azione umanitaria, si celano politiche imperialistiche? Qui l'esempio è il Kosovo e l'intervento umanitario è una mera facciata per dissimulare la volontà di imporre il proprio dominio economico ed influenzare la politica locale.


L'idea è che tutti gli stati dovrebbero avere il diritto di completare in maniera autonoma la propria sovranità. Insomma, continuando sulla strada dell'autodeterminazione dei popoli:
Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna). Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Lenin e Wilson, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo. Treccani.it
Entrambe queste accuse non si concentrano sull'azione umanitaria in sé, su quello che succede sul campo, ed evidenziano una visione dicotomica tra: intervento umanitario visto come negativo ed intervento politico, connotato invece positivamente.

Un secondo filone critico si concentra sulla rappresentazione dell'azione umanitaria, rappresentazione che necessariamente richiede anche una rappresentazione della sofferenza umana. Ci si interroga sugli effetti che tale rappresentazione può avere sulla democrazia e sull'opinione pubblica. Se la sofferenza diventa rappresentazione, ci troviamo per forza di cose dinanzi ad uno spettatore e non ad un attore (capace quindi di agire). Ma la figura dello spettatore è ambigua e nasconde almeno due insidie: lo spettatore è impotente, può solo guardare; in quanto può solo guardare e non agire, lo spettacolo della sofferenza di fronte ai suoi occhi rischierebbe di alimentare soltanto un piacere perverso. Insomma, il rischio è il voyerismo.
it transforms the spectator into a voyeur, stimulating his perverse desire to take pleasure in the suffering of others or, at best, provoking feelings of shame for not being able to assuage the suffering that is being shown. Boltanski
L'azione umanitaria darebbe a ciascuno la possibilità di coltivare il proprio sé commuovendosi della propria pietà allo spettacolo della sofferenza altrui. Ecco, ci siamo, dobbiamo capire da dove ha origine questa pietà, questa politica della pietà. Chi ha detto che noi dobbiamo preoccuparci delle sofferenze altrui?
Secondo Boltanski, non è possibile argomentare tali critiche e risalire ad una corretta analisi, senza comprendere come la pietà si sia imposta come argomento politico, nella seconda metà del 18° secolo.
La pietà, vista come fonte di virtù, ha dimostrato di possedere un potenziale di crudeltà maggiore della crudeltà stessa. Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, p. 95
Boltanski fa appello alla Arendt per evidenziare come, dalla Rivoluzione Francese non sia emersa tanto una ricerca di libertà, quanto invece si sia stata l'occasione per l'imporsi di una politica della pietà che considera la sofferenza inamissibile, a prescindere se sia o meno giustificata. Si impone così una nuova sensibilità per la sofferenza,  contrapposta alla compassione che si attuava in una dimensione locale di prossimità, una sofferenza a distanza che impedisce un'azione immediata.
La politica della pietà non è di per sé un fatto nuovo: essa è nata dentro la modernità. E' nata allorché la modernità, con la sua pretesa di autoaffermazione e di secolarizzazione dei fondamenti del mondo, ha tentato per la prima volta di comprendere il problema del male e di farsene carico. Se la politica della pietà ha almeno duecento anni di storia, essa ha assunto oggi tratti inediti. Il carattere di novità che presenta nel nostro tempo risiede in una condizione umana nuova, caratterizzata dai processi di globalizzazione, e dallo scarto che nel rapporto tra pietà e politica si viene a determinare a causa dell'aumento della distanza tra spettatore e infelice, per effetto della comunicazione di immagini e informazioni attraverso i media. La tensione tipicamente moderna tra "universalismo astratto" e "comunitarismo stretto" risulta acuita, nel momento in cui l'essere a conoscenza di una sofferenza a una distanza fuori dalla portata del nostro diretto intervento fa scattare una contraddizione insostenibile tra l'apparato morale e la sua applicabilità in contesti lontani e diversi. Daniela Belliti
Eccoci arrivati ad una delle questioni fondamentali: come possiamo dare forma alla rappresentazione a distanza della sofferenza capace di stabilire una connessione politica (Following Louis Dumont, I take politics in this case to be the operation of generalization which allows a move from the local to the global, and vice versa, such that disparate individuals are gathered together around common causes, whether in order to involve them in an action or to seek their approval and support for an action carried out in their name.). Oppure, con le parole di Boltanski:
A quali condizioni lo spettacolo della sofferenza a distanza, attraverso media interposti, è moralmente accettabile? Lo spettacolo del dolore, p. XV
Ci si interroga sui processi di costruzione sociale che rendono legittimo lo sguardo a distanza sulla sofferenza, in quanto questo sguardo, per non sfociare nella perversione, in una esibizione della sofferenza fine a se stessa, dovrebbe necessariamente portare all'azione. Il problema della distanza è oggetto di attenzione di tutto il saggio di Boltanski.

Boltanski individua tre forme fondamentali di coinvolgimento ed elaborazione dei temi umanitari nella società moderna e le chiama topiche, Topiche della pietà. Intendendo per topica:
la figura retorica di un'argomentazione letteraria: si tratta della topica della denuncia, il cui punto di partenza può essere rintracciato in Rousseau; della topica del sentimento, tipica del romanzo tra Sette e Ottocento; e infine della topica estetica, che trova esponenti in Nietzsche, Sade e Baudelaire. Daniela Belliti
Topiche diverse producono effetti diversi sulla messa in agenda e quindi sulla capacità di mobilitare l'opinione o l'azione.


La topica della denuncia


Ha la sua base nella pietà, fa appello ad una metafisica della giustizia ed è mossa dall'indignazione. Ciò che caratterizza questa topica è una ricerca della responsabilità. L'attenzione è rivolta al colpevole e non alla vittima, infatti il linguaggio di questa topica è uno "speech act" di accusa che produce, nella pratica, una mobilitazione collettiva contro la causa e il colpevole. Quindi la rabbia che porta alla denuncia è mossa dal simpatizzare con il risentimento della vittima verso il persecutore.
Il grande limite di questa tipica è che porta lo spettatore a distogliere lo sguardo dalla vittima della sofferenza, per rivolgerlo esclusivamente al colpevole.

La mobilitazione collettiva non è in grado di contribuire concretamente ad eliminare la sofferenza: si tratta di un coinvolgimento che avviene solo a parole? Una sostituzione illusoria all'azione? E poi, perché lo spettatore simpatizza con la vittima? L'accusa è veramente imparziale oppure ci sono ragioni che rendono simile lo spettatore alla vittima (generando simpatia), per cui l'accusa diventa niente altro che la soddisfazione di un bisogno di rivalsa? Queste alcune delle critiche mosse alla topica della denuncia.

The first questions denunciation at a distance inasmuch as it might be an illusory substitute for present action. Denunciation, on this view, is not a real engagement. It is merely an engagement in words — a `verbal' engagement. 
The second criticism, historically the more important one, casts doubt on the impartiality of the denunciation by attempting to show that, far from being disinterested, the spectator takes the side of someone to whom he is connected by secret ties (e.g., the denouncer and the victim he defends are both Jews, homosexuals, etc.).
Ok, quando non c'è possibilità d'azione interviene il linguaggio. Ma quale tipo di linguaggio è legittimo? Spostiamoci all'interno di un'altra topica.

La topica del sentimento

Instead of sympathizing with the resentment that victim harbours for the persecutors - which gave rise to indignation, denunciation and accusation - the spectators follow the other path traced out by Adam Smith and sympathizes with the feelings of gratitude that the benefactor's intervention inspires in the victim.
Siamo qui di fronte ad una topica che si basa anch'essa sulla pietà, ma che fa appello all'emozione. Se la topica della denuncia simpatizzava con il persecutore, quella del sentimento simpatizza con il benefattore, con il senso di gratitudine che la vittima sente nei confronti del benefattore. Anche qui la vittima è in secondo piano: l'attenzione è rivolta al benefattore. Quello a cui si fa appello, è una dimensione interiore, delle caratteristiche emotive che producono immedesimazione. Qui siamo proprio nel campo della pietà!
The feelings aroused by the other's suffering can thus lead to a deliberate search for the spectacle of suffering, not in order to reduce it but to arrive at that precious moment of emotion and happiness that, according to this logic, it incites.
Le topiche del sentimento devono utilizzare immagini toccanti, spesso quelle di bambini: il classico stereotipo del bambino africano con il ventre gonfio nasce da qui. In questo senso sfigurano la vittima, le sottraggono una parte di umanità, dando vita ad una rappresentazione che può essere definita "pornografia della sofferenza". Per produrre poi cosa? Un'azione privata che trasforma lo spettatore in benefattore, recandogli un beneficio che lo libera in maniera simbolica. Quindi niente di più lontano da una connessione politica! Un'azione privata, non un'azione pubblica e quindi non un reale cambiamento.

La topica del sentimento è utilizzata soprattutto nella comunicazione di fundraising: una simpatia con la vittima ottenuta con le emozioni, che non si chiede se nella propria rappresentazione non stia rinforzando il pregiudizio su quella vittima. Si rinforza lo stereotipo decontestualizzando la vittima.

Una sorta di compiacimento, una spettacolarizzazione della sofferenza che genera un piacere: alla topica del sentimento non mancano certo critiche.

Perché abbiamo parlato di simpatia?


Prima verso il risentimento della vittima verso il colpevole e poi verso la gratitudine della vittima per il benefattore?

When the agent is a benefactor, the spectator's sentiments will be a composite of direct sympathy for the agent and indirect sympathy with the sufferer's gratitude. But if the agent is an offender or a persecutor, the spectator's sentiments will be composed of direct antipathy regarding the agent and “indirect sympathy with the resentment of the sufferer”.
Perché le due topiche funzionano grazie ad un meccanismo simpatetico che presuppone l'utilizzo dell'immaginazione: se la compresenza ha la capacità di produrre empatia, a distanza c'è una simpatia, un "sentire con".
Il termine simpatia deriva dal greco “sympatheia” che significa “patire insieme, condividere
una particolare emozione”. La simpatia nasce, infatti, quando sentimenti o emozioni
provati da qualcuno “contagiano” un'altra persona, creando quasi una condivisione del
sentimento stesso. […]
L'empatia, invece, è la capacità di comprendere ciò che una persona sta provando,
identificandosi nella situazione in cui essa versa. […] deriva dalla fusione della particella “en”, che vuol dire
“dentro”, con “pathos”, che significa “sofferenza o sentimento” e perciò riesce a
rappresentare in maniera perfetta l’immedesimazione di una persona all’interno di una
realtà diversa dalla propria. Adimodugno.it

La topica estetica


Si limita a rappresentare il problema, lo racconta ma non lo mette in agenda, non si preoccupa dell'azione. Con le parole della professoressa Lalli, è una topica estetizzante: estetizza la sofferenza. Una sorta di tetra meditazione sulla condizione umana che riesce a produrre del bello dalla bruttezza.



Si forma anche come frutto delle critiche precedenti alle altre topiche e Boltanski ne rintraccia la nascita nella metà del 1800, presentando Baudelaire come un esempio. Infatti questa topica è propria degli artisti:
"Artist capable of showing how the victim's suffering possesses something sublime".
Nel saggio, Boltanski dice di avere in mente anche le fotografie scattate da Salgado in Ethiopia. Ne riporto una di seguito. 


Insomma, nel momento in cui le due forme di discorso, la topica della denuncia e quella della pietà, vengono criticate e ne viene mostrata la contraddizione nella stessa topica estetica, il processo di rappresentazione della sofferenza a distanza perde la propria legittimità.
I would now like to examine why it is so difficult nowadays to become indignant and to make accusations or, in another sense, to become emotional and feel sympathy — or at least to believe for any length of time, without falling into uncertainty, in the validity of one's own indignation or one's own sympathy. 
Si ha quella che Boltanski chiama Crisi della Pietà, "caratterizzata da una perdita di fiducia nell'efficacia della parola impegnata, da un'incentrarsi sui media e sugli effetti spettacolari che essi esercitano, da una tentazione di ripiegamento comunitario e infine, più profondamente, da uno scetticismo di fronte a ogni forma di azione politica orientata verso un orizzonte di ideali morali (Lo spettacolo del dolore, p. XVII)".
Si ha politica solo con la distanza, perché è soltanto nello spazio tra l'osservazione dell'evento, la predisposizione di una strategia e il momento dell'intervento che si può parlare di un'azione politica, cioè pubblica e possibilmente plurale. Ma con la pietà ci troviamo di fronte a quello che Boltanski chiama "trattamento paradossale della distanza", ovvero la necessità di trasportare casi singoli, tali da suscitare pietà, su un piano di generalità tipico dell'azione politica. Daniela Belliti
Ad argomentare questa crisi ci sono almeno quattro incertezze, quattro forme capaci di suscitare un'inquietudine sulla fondatezza di un'emozione mediatica che non permette l'azione diretta. Quattro criticità della rappresentazione a distanza della sofferenza.

Incertezza sulle credenze valutative: chi sono le vere vittime? Chi sono i veri colpevoli? La selezione viene fatta in maniera arbitraria (conflitto di credenze).
Incertezza sulle credenze esistenziali: la perdita del riferimento. "Non si mette in dubbio che vi siano delle vittime e dei persecutori [...] ma si esita sul riempimento dei differenti posti."
Incertezza sui desideri: fa nascere il sospetto sulle motivazioni altruistiche che potrebbero nascondere desideri egoistici e frustrazioni.
Incertezza sulle intenzioni che impegnano verso le azioni: visto che non si può agire, gli stati moderni sono sempre più impotenti all'interno della complessità della dimensione globale, allora come evitare la caduta dello sguardo sulla sofferenza nel voyerismo?

Secondo Boltanski, questa quarta incertezza gioca:
un ruolo determinante nel giudizio sul carattere accettabile, morale o, al contrario, illlecito, addirittura perverso, di un'emozione mediatica. Affinché le intenzioni di agire siano assunte senza troppi problemi occorre che l'azione, anche se il suo oggetto è lontano, non appaia come totalmente inaccessibile. Lo spettacolo del dolore, p. 244.
Torniamo al punto cardine di tutta la riflessione: la distanza.

Ricollegare la parola all'azione


Esistono alternative praticabili alle tre topiche?
Alternative che rispettino le seguenti finalità:
  • non distogliere lo sguardo dalla vittima;
  • ridurre l'inquietudine e l'incertezza per non cadere vittima del relativismo;
  • risolvere con un'azione diretta su problema.
In quali condizioni una parola sulla sofferenza può essere considerata come una parola agente? Lo spettacolo del dolore, p. XVII
Bisogna trasformare lo spettatore passivo in un attore coinvolto e restituire alla "parola" la sua dignità rendendola in grado di generare un'azione collettiva.
In order for the action of speech to be considered a real, efficacious action, one capable of generating collective causes, the individual words must find contact points - such as political parties or movements - that are able to collect and transmit them so as to bring pressure to bear on governments. 
La ri-legittimazione dell'azione umanitaria deve passare per una ri-politicizzazione di questa azione.
At present, the representation of humanitarian action is governed by the state and the media. Only if it succeeds in making itself felt in the everyday lives of people, and not just in the words of their leaders or on their television screens, will humanitarian action find a new legitimacy.
Quali sono oggi, in una società complessa, le condizioni per una presa di parola pubblica? Rispetto ad un determinato momento storico e a un gruppo sociale, chi e con quale peso contribuisce a costruire l'ordine del giorno dei problemi (Agenda Building)?
Il chiarimento dei principi impliciti che sottendono l'azione umanitaria può contribuire a una ridefinizione dell'impegno politico e, di conseguenza, a una riaffermazione della dimensione politica della vita. Lo spettacolo del dolore, p. XVII
Viene richiesta una maggiore riflessione sugli effetti di comunicazione e sui processi che influenzano il processo di costruzione dell'agenda, chiedendosi allo stesso tempo: come faccio ad influenzare il processo senza lasciarmi influenzare da esso? La sfida più difficile che richiede creatività e coraggio.

Di fronte a questa consapevolezza si aprono tre piste:

  • Reti accessibili di disintermediazione pratica (non solo mediatica): importanza di costruire alleanze, di non ridurre la comunicazione alla creazione di campagne ma di accompagnare le campagne con la costruzione di reti pratiche che possono essere mobilitate (relazione).
  • Parola agente che riesca a mobilitare le persone in quanto offre delle occasioni concrete di azione.
  • Ibridazione fra topiche.

E si possono proporre alcuni strumenti:
  • Video partecipativo.
  • Azione/intervento e Ricerca/azione: produco ed agisco con loro.
  • Civic, citizen e community journalism, graphic journalism.
  • Investimento sul capitale sociale: creare reali occasioni di inclusione nella rete sociale.
  • Approcci strategici alla negoziazione tra attori sociali diversi: il "social marketing".

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